Seno, un nuovo farmaco per le forme più aggressive

Seno, un nuovo farmaco
per le forme più aggressive
Una molecola aiuta a proteggere dalle metastasi cerebrali e viene somministrato per bocca

MILANO - Arriva anche in Italia la pillola anti-metastasi per il cancro al seno. Il farmaco, lapatinib, sarà somministrato con la procedura «pay for performance», una modalità che prevede che l’azienda rimborsi le spese sostenute dall'ospedale per il farmaco se questo non fa effetto sulla paziente. L’accordo fra l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e la casa farmaceutica produttrice del medicinale prevede, infatti, 12 settimane di prova per verificare l’effettiva efficacia del farmaco su ciascuna paziente. Se la progressione del tumore si blocca, come hanno dimostrato le sperimentazioni cliniche, la paziente proseguirà la terapia e lo Stato sosterrà il costo delle compresse. In caso contrario, il ciclo terapeutico sarà a carico dell’azienda produttrice.

IL NUOVO FARMACO - Lapatinib (che arriva in Italia come ultimo paese europeo dopo essere approdato in Europa nel 2008) è una piccola molecola appartenente alla classe degli inibitori tirosin-chinasi e verrà utilizzato nel trattamento delle pazienti affette da carcinoma mammario avanzato o metastatico, in progressione, il cui tumore sovraesprime l’ErbB2 (Her2). «Lapatinib - spiega Pierfranco Conte, direttore del Dipartimento di oncologia ed ematologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia – è una molecola ad azione mirata che - somministrata per via orale - entra nelle cellule malate e blocca ErbB1 e ErbB2, i due recettori chiave della proliferazione del tumore al seno di tipo Her positivo, il più aggressivo. L’attivazione del recettore Her2 è infatti riconosciuta come un fattore chiave della proliferazione cellulare e della progressione di questa neoplasia».

LA SPERIMENTAZIONE – L’efficacia del farmaco è stata confermata da uno studio che ha arruolato 399 donne con carcinoma mammario metastatico in progressione, la maggior parte fortemente trattate in precedenza con tutti i presidi a disposizione, compreso trastuzumab, l’unico medicinale specifico - almeno finora - per questo tipo di tumore. In combinazione con capecitabina, un chemioterapico orale, lapatinib ha dimostrato anche in queste pazienti un aumento significativo del «tempo medio alla progressione», ovvero il periodo in cui la malattia rimane sotto controllo senza progredire: si è passati dai 4,3 mesi della terapia con il solo chemioterapico ai 6,2 mesi della combinazione. Nelle pazienti invece arrivate allo studio dopo aver subito un minor numero di trattamenti in precedenza, l’aumento del tempo medio alla progressione passa dalle 19,7 settimane con capecitabina alle 49,4 con la combinazione.

BLOCCA LE METASTASI AL CERVELLO - «C’è però un dato che aggiunge significato alle potenzialità di questa terapia – aggiunge Conte -: lapatinib si è dimostrato in grado di fermare la crescita di mestasi cerebrali, che nel caso di tumori Her2 positivi colpiscono una donna su tre». In genere, infatti, il tumore mammario tende a metastatizzare in organi ben definiti, come le ossa, i polmoni, il fegato o l’encefalo. Il carcinoma della mammella colpisce ogni anno in Italia circa 40mila donne. Il 25 per cento di questi tumori (dai sette ai 10mila casi) hanno caratteristiche di elevata aggressività e una prognosi peggiore. E’ ormai stato dimostrato che in questi casi le cellule neoplastiche presentano sulla loro superficie un elevato numero di recettori Her2, causa dell’accelerazione dei processi di proliferazione e di formazione di metastasi. Esiste però un test specifico in grado di identificare la sovra-espressione dell’Her2, che consente così di diagnosticare precocemente le forme di cancro più aggressive.

CHEMIOTERAPIA IN PILLOLE – «Tra cinque anni oltre un farmaco anti-cancro su due sarà somministrato per bocca - stima Marco Venturini, direttore dell’Oncologia all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negar (Verona) -. Già negli ultimi quattro anni abbiamo assistito a una grande espansione delle terapie orali in oncologia: negli Usa la percentuale di chemioterapia in pillole in via di sviluppo è più che raddoppiata, ma in Italia è necessario che le strutture oncologiche si organizzino al meglio per dare supporto ai pazienti, come è stato fatto a suo tempo per le terapie endovenose». Secondo i sondaggi, la terapia orale è preferita da nove pazienti su 10 rispetto alla chemio per endovena, sostanzialmente per due motivi: prima di tutto la possibilità per il malato di curarsi a casa propria; secondo, la facilità di assunzione e l’assenza dei problemi connessi alla somministrazione venosa. Ma, spiega Venturini, anche le pillole possono creare problemi, per questo bisogna creare strutture capaci di somministrare la terapia orale in totale sicurezza, spiegandone i rischi al malato, in modo da non lasciarlo solo con le pillole. «Purtroppo accade, lo vediamo quotidianamente, che molti pazienti non prendono i farmaci secondo lo schema stabilito e concordato con il medico. Oltre il 25 per cento dei pazienti o assume dosi ridotte del farmaco o non lo assume proprio. Oppure, aspetto altrettanto importante, molti continuano la cura nonostante questa abbia effetti collaterali, che il malato magari considera ineluttabili, ma che invece possono diventare pericolosi o essere limitati. Infine, ci sono una serie di interazione tra la chemio in pillole e altri farmaci o addirittura con i cibi».

Vera Martinella

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