Novità nelle chemioterapie per il tumore del seno

SAN ANTONIO -( TEXAS )

Nuove combinazioni di farmaci offrono maggiori possibilità di cura alle donne con un tumore del seno. Secondo gli esiti a cui sono giunti diversi studi presentati nei giorni scorsi durante il Breast Cancer Symposium di San Antonio (Texas), infatti, utilizzare mix di medicinali che colpiscono con maggiore precisione determinate cellule cancerose significa aumentare in modo considerevole i tassi di sopravvivenza e guarigione delle pazienti. «La principale novità emersa da queste ricerche - commenta Pierfranco Conte, responsabile del Dipartimento di oncologia dell’Università di Modena - è l’utilità di una cura con nuovi farmaci anche nei casi di una neoplasia operabile, per rendere la chirurgia meno invasiva e ottenere una risposta completa dalla chemioterapia: ovvero eliminare del tutto le cellule tumorali sia nella mammella che nei linfonodi».

IL RECETTORE HER2
- Il recettore Human Epidermal Growth Factor 2 è legato all’amplificazione di un oncogene, cioè di un gene che predispone alla malattia, presente in quantità eccessive in circa un quarto dei casi di carcinoma della mammella: delle circa 40mila nuove diagnosi effettuate ogni anno in Italia, dunque, fra le 7 e le 10mila sono HER2 positive. «Fino a pochi anni fa le forme HER2 positive venivano considerate fra le più aggressive e letali - dice Paolo Pronzato, direttore dell’oncologia medica dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova -. Oggi è invece il più curabile, perché una volta identificato un bersaglio preciso da colpire i ricercatori sono stati in grado di mettere a punto delle cure efficaci».

EFFICACIA DEI MIX - Lo studio di fase III NeoAllto, condotto da Jose Baselga del Massachusetts General Hospital Cancer Center su 455 pazienti con neoplasia HER2 positiva ai primi stadi, ha così provato la validità della combinazione fra l’anticorpo monoclonale trastuzumab (che blocca l’attività di Her2 sulla superficie esterna della cellula) e l’inibitore della tirosin-chinasi lapatinib (che lo ferma all’interno) in aggiunta alla chemioterapia tradizionale con placlitaxel. Le partecipanti sono state trattate per quattro mesi prima dell’intervento e per altri nove mesi con uno solo dei due medicinali o con il mix di entrambi (oltre alla chemio standard). Al termine delle cure, la metà delle donne che aveva ricevuto il mix non mostrava più alcun segno di malattia, mentre lo stesso risultato è stato raggiunto solo nel 25-30 per cento delle pazienti che avevano ricevuto solo trastuzumab o solo lapatinib. Un secondo trial tedesco (GeparQuinto, diretto da Gunter von Minckwitz dell’Università di Franconforte, fase III) ha confrontato gli stessi due farmaci, somministrati singolarmente ma sempre in aggiunta a chemioterapia con antracicline e taxani, su 620 donne con la medesima forma iniziale di neoplasia. Questi i risultati: il 31 per cento delle donne trattate con trastuzumab ha visto scomparire completamente la propria malattia, rispetto al 22 per cento di quelle curate con lapatinib. Una terza sperimentazione, sempre di fase III, ha coinvolto 444 pazienti con carcinoma mammario HER2 positivo in stadio avanzato: una metà ha ricevuto una compressa di lapatinib una volta al giorno e paclitaxel una volta alla settimana, l’altra metà placebo e paclitaxel. Anche in questo caso i risultati hanno provato che l’unione fra i due medicinali produce un aumento della sopravvivenza totale e una riduzione del 26 per cento del rischio di morte. Infine, anche gli esiti dello studio di fase II Neosphere, provano come la combinazione di pertuzumab e trastuzumab più chemioterapia (docetaxel) in donne con carcinoma mammario HER2 positivo favorisca la completa scomparsa del tumore al seno in fase precoce.

PROBLEMI DA AFFRONTARE
- Se gli esiti positivi di questi trial sono importanti per le malate, due grosse questioni s’impongono parlando di trattamenti basati su mix fra i nuovi farmaci. Sommare più medicinali, infatti, significa unire fra loro anche sia gli effetti collaterali che i costi per il Sistema sanitario nazionale delle terapie che già oggi richiedono diverse migliaia di euro al mese per ogni paziente (le più recenti stime dicono che si è passati da 1,2 milioni di euro del 2004 a 2,2 milioni del 2008: in quattro anni il denaro sborsato dagli ospedali per farmaci oncologici è quasi raddoppiato, soprattutto per la maggiore diffusione di farmaci innovativi). Quanto alle conseguenze indesiderate, quelle più frequenti rilevate negli studi riguardano diarrea, neutropenia (calo dei globuli bianchi), rash cutaneo, calo dell’appetito, nausea, anemia, debolezza. «L’oncologo dev’essere sempre la figura di riferimento indispensabile per i malati - sottolinea Paolo Marchetti, responsabile dell’Oncologia medica al Sant’Andrea di Roma - perché è lui che deve assisterli e trovare le soluzioni nel caso di effetti collaterali, soprattutto importanti, onde evitare che questi sospendano le cure a causa della tossicità. E se i trattamenti orali sono un'ottima cosa, perché il paziente può prendere la pastiglia prescritta a casa da solo, il controllo dell’oncologo resta cruciale».

Per approfondimenti sul tumore del seno www.senologia.eu a cura del prof. Massimo Vergine

Commenti