Vitamina D e tumore al seno

Vitamina D, dalla salute delle ossa alla prevenzione del tumore

Più di un miliardo di persone al mondo non assimila quantità sufficienti di vitamina D, cosa che comporta un aumento del rischio di sviluppare problematiche ossee, ma non solo. Sebbene siamo abituati a considerare la vitamina D come un parametro importante per la salute delle nostre ossa, le sue funzioni sono molteplici e complesse ed importanti anche per la prevenzione di vari tipi di tumore, tra cui il cancro al seno. L’attività fisica può aiutarci anche su questo fronte.

Il 2020 rappresenta un anno del tutto fuori dal comune per tutti noi. La pandemia che ci siamo ritrovati a fronteggiare ci ha richiesto, e ancora ci richiede, sforzi incredibili e ci ha costretto ad un periodo di isolamento forzato per prevenire conseguenze ancor più pesanti. Il periodo trascorso in casa mi ha portato a riflettere su un argomento a cui troppo poco prestiamo attenzione: lo stare chiusi in casa o in ufficio riduce il nostro tempo passato all’aria aperta con potenziali e dirette conseguenze inaspettate sulla nostra salute, in particolare sui livelli di vitamina D.  

Quando parliamo di vitamina D, il primo pensiero corre inevitabilmente alla salute delle ossa. Il suo ruolo nel metabolismo del calcio è conosciuto da decenni e ben collegato al processo di calcificazione delle ossa. L’associazione tra  carenza di vitamina D e osteoporosi è quasi diventata immediata, un luogo comune, ma è davvero l’unica faccia della medaglia? 

La vitamina D è diversa dalle altre vitamine. Infatti, si comporta in tutto e per tutto come un ormone e regola svariate funzioni dell’organismo tra cui:

  • Controlla i livelli circolanti di calcio e fosforo
  • Consente la calcificazione dell’osso
  • Regola l’attività del sistema immunitario 
  • Regola il corretto sviluppo del feto
  • Regola lo sviluppo neuronale
  • Agisce sulla secrezione di insulina, aiutando a prevenire il diabete
  • Regola la proliferazione cellulare ed ha diverse azioni antitumorali [1]

Assicurarci adeguati livelli di vitamina D, quindi, vuol dire agire sulla nostra salute a tutto tondo e non solo a livello delle ossa. Questo è sicuramente un buon motivo per non trascurare tutte quelle abitudini che ci consentono di non sperimentare una sua carenza. 

Vitamina D e tumore al seno

Negli ultimi anni, sono stati condotti numerosi studi, sia sugli animali sia nell’uomo, per cercare di comprendere se ed in che modo i livelli ematici di vitamina D possano essere associati all’insorgenza di tumore. In realtà, una delle motivazioni dietro il gran numero di studi condotti sul tema è quasi banale: se la vitamina D di per sé avesse un valore protettivo contro l’insorgenza del tumore, condurre una campagna di prevenzione basata sulla sua integrazione sarebbe relativamente semplice. La vitamina D, infatti, è già disponibile sul mercato ad un costo contenuto e la sua integrazione secondo le modalità corrette è sicura. Tuttavia, nonostante il gran numero di ricerche condotte fino ad oggi, uno studio di revisione della letteratura scientifica sul tema prodotta fino al 2017, ha rivelato come non sia ancora possibile dare delle indicazioni chiare sull’assunzione della vitamina D a scopo preventivo contro l’insorgenza del cancro [2]. Sebbene vi siano diverse evidenze a sostegno di una correlazione inversa tra livelli di vitamina D ed insorgenza di tumore, gli studi fino ad ora condotti non hanno prodotto risultati sufficientemente coerenti tra loro.  Ciò è dovuto, almeno in parte, alla scelta di  metodi diversi per la raccolta e l’analisi dei dati e alla  variabilità intrinseca al tumore stesso: come sappiamo, ogni tumore è diverso dall’altro.

Una delle tipologie di neoplasia per cui sono disponibili più evidenze è certamente il tumore al seno, sebbene anche in questo caso le informazioni non possano ancora definirsi del tutto chiare e complete. Una indicazione importante, anche se non ancora sufficiente, viene da uno studio condotto dall’Università di San Diego che esplora il rischio di sviluppare tumore al seno in presenza di livelli di vitamina D considerati solitamente nella norma, ovvero maggiore di 40 nanogrammi per millilitro. Lo studio prende in esame 5038 donne sane al momento dell’inizio dell’osservazione, con età media di 55 anni, quindi in post-menopausa, coinvolte in due differenti trial clinici sull’integrazione della vitamina D. Complessivamente, l’osservazione ha avuto una durata di 4 anni e ha visto la diagnosi di 77 casi di tumore al seno, un numero compatibile con la normale incidenza della malattia. Tuttavia, prendendo in esame i livelli di vitamina D circolanti nelle donne con tumore, ci si è accorti che le donne con una concentrazione pari o superiore a 60 nanogrammi per millilitro di sangue avevano un rischio di sviluppare tumore 5 volte più basso rispetto alle donne con livelli di vitamina D di 20 nanogrammi per millilitro, un valore normalmente considerato basso. Non solo, suddividendo il gruppo di donne in fasce basate sui livelli di concentrazione ematici di vitamina D, ci si è accorti che tanto più alto era il livello, tanto più basso era il rischio fino, appunto, al livello soglia di 60 nanogrammi per millilitro di sangue. In parole povere, se è vero che avere livelli adeguati di vitamina D (maggiori di 20 nanogrammi per millilitro) è protettivo contro il tumore al seno, avere livelli superiori o pari a 60 potrebbe davvero fare la differenza, riducendo il rischio fino a 5 volte [3], un’indicazione importante che merita di essere approfondita. 

Più recentemente, uno studio sugli animali ha dimostrato che la vitamina D è in grado di avere un effetto positivo sulle cellule del sistema immunitario attivamente coinvolte nella lotta al tumore al seno. In dettaglio, la vitamina D è in grado di aumentare il numero e lo stato di attivazione dei linfociti T CD8+ infiltrati nel tumore. I linfociti T CD8+, noti anche come linfociti T citotossici, rappresentano la squadra SWAT del nostro organismo, in grado di riconoscere e distruggere il nemico. Un fenomeno di questo tipo si associa, inevitabilmente, ad una riduzione delle dimensioni del tumore e ad un aumento della sopravvivenza. Cosa molto interessante, sembra che la vitamina D abbia un effetto opposto nel caso in cui l’animale sia sottoposto ad una dieta ricca di grassi, un fenomeno probabilmente dovuto al ruolo attivo del grasso nel metabolismo e nel sequestro della vitamina D che, intrappolata al suo interno, non è più disponibile per lo svolgimento delle proprie funzioni [4]. 

Già in precedenza, nel 2017, uno studio sulla prestigiosa rivista Jama Oncology aveva correlato livelli più alti di vitamina D al momento della diagnosi di cancro al seno ad una migliore prognosi, riportando un’altra interessante osservazione. A presentare livelli più alti di vitamina D sono individui che conducono stili di vita più sani e, pertanto, con un indice di massa corporeo più basso, che non fumano o consumano alcol, che svolgono attività fisica regolarmente e assumono vitamina D attraverso la dieta [5]. Ciò rende difficile, a tutti gli effetti, discriminare quanto dell’effetto benefico della vitamina D sia imputabile ad essa direttamente e quanto derivi, piuttosto, dall’adozione di quelle buone pratiche che già sappiamo essere preventive. Nel dubbio, adottare buone abitudini rimane la cosa migliore da fare: che agiscano per prevenire il cancro direttamente o mediante l’aumento dei livelli di vitamina D nel nostro organismo, il guadagno è comunque doppio!

 

Come fare “scorta” di vitamina D?

La vitamina D è una vitamina liposolubile che tende ad essere sequestrata all’interno dei tessuti grassi del nostro organismo. In condizioni normali, viene accumulata nel fegato per essere rilasciata nell’organismo al momento del bisogno. Ciò fa sì che non sia necessario assumerla o produrla con regolarità, ma rende indispensabile farne una scorta adeguata che ci consenta di far fronte ai periodi in cui non ne assumiamo un quantitativo sufficiente. Sebbene vi siano alcuni alimenti ricchi in vitamina D, come ad esempio il pesce grasso, tra cui il salmone, o l’olio di fegato di merluzzo, il 90% del fabbisogno è coperto dalla vitamina prodotta nel nostro organismo attraverso l’esposizione al sole.  Sono infatti i raggi UVB a consentire la produzione della vitamina D a livello della pelle. Durante l’estate è sufficiente esporsi al sole per quaranta minuti al giorno con braccia e gambe scoperte, in modo da produrre una scorta adeguata di vitamina D in grado di sopperire a tutto l’inverno. Durante l’inverno, invece, per far fronte  al fabbisogno quotidiano, il tempo di esposizione si allunga fino ad un’ora. 

Nel caso in cui i livelli di vitamina D siano molto bassi e ci si trovi dinanzi ad una effettiva carenza, è possibile, dietro prescrizione e controllo medico, procedere all’integrazione. È il caso, ad esempio, delle donne che si sottopongono a terapia ormonale per un tumore sensibile ad estrogeni e progesterone, un tipo di terapia che causa quale effetto collaterale la riduzione dei livelli di vitamina D e l’aumento della fragilità ossea. Per questo è importante, e pratica diffusa nel percorso di cura oncologico di una donna con tumore al seno, monitorare i livelli ematici di vitamina D e la densità ossea periodicamente, allo scopo di intervenire in maniera tempestiva e corretta. Ciò aiuterà non solo a proteggere la donna dagli effetti collaterali della carenza sulle ossa, ma anche nella lotta al tumore. 

Un ruolo ausiliario nell’approvvigionamento di vitamina D viene senza dubbio da parte dell’attività fisica. È già noto da tempo il ruolo dell’attività fisica regolare nell’aumento della densità ossea e nella riduzione della perdita di calcio, dovuto essenzialmente alle sollecitazioni dello scheletro da parte del movimento. Tuttavia, come abbiamo detto più volte, l’attività fisica è di fondamentale importanza per il controllo del peso e ciò rappresenta un grande aiuto per l’approvvigionamento di vitamina D. Infatti, la vitamina D è liposolubile e tende ad accumularsi nel tessuto adiposo. Ciò significa che persone con una percentuale elevata di tessuto grasso tendono ad avere un minor quantitativo di vitamina D circolante e disponibile per l’organismo. Uno studio recente, inoltre, suggerisce un ruolo dell’attività fisica anche nella mobilitazione delle riserve di vitamina D [6].

 

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